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 Dopo diversi anni di amichevole dialogo e collaborazione tra un ebreo, Marco Cassuto Morselli, e una cattolica, Gabriella Maestri, è nata questa nuovissima traduzione in italiano dell’intero Nuovo Testamento. 

Nuovo Testamento. Una lettura ebraica, traduzione e commento di Marco Cassuto Morselli e Gabriella Maestri, Castelvecchi editore. Tre volumi: Vangeli e atti degli apostoli, Lettere di Shaul/Paolo, Lettere e Apocalisse, Roma 2021

Si tratta del primo coraggioso tentativo di far emergere nella nostra lingua il substrato ebraico ed aramico del greco della koiné nel quale ci sono giunti i testi neotestamentari. 

Sappiamo infatti che Gesù/Yeshua e i suoi discepoli erano ebrei, parlavano ebraico e aramaico e vivevano in un ambiente ebraico. Il “maestro”, riconosciuto come il Messia/Mashiaḥ atteso, non aveva ordinato di scrivere, ma di predicare

“Andate dunque e ammaestrate tutti i goyim, immergendoli nel nome del Padre e del Figlio e della Ruaḥ ha-Qodesh, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20a, Vol 1, p.116)

Tuttavia, a un certo punto, di lui e del suo messaggio si scrisse. Fu Paolo il primo a mettere per iscritto l’annuncio di Gesù/Yeshua, alcune decine di anni dopo i fatti, indirizzando lettere alle comunità da lui fondate. E in seguito a Roma, secondo la tradizione, il discepolo Marco, segretario di Pietro, raccolse in un libretto, il Vangelo, la buona novella di Gesù Cristo: “Principio della besorah tovah di Yeshua Mashiaḥ [Ben Eloqim]” (Ibidem, p.127). Seguirono altri scritti, più o meno attribuiti agli apostoli e ai discepoli testimoni della Resurrezione del Signore. E tutti lo fecero scegliendo il greco, la lingua più diffusa, in grado di raggiungere tutti i popoli, i goyim.

Del primissimo annuncio del Vangelo/besorah tovah non abbiamo testimonianze dirette di testi in ebraico. I primi padri della Chiesa accennano vagamente a qualche forma di “interpretazione” in greco delle parole di Iesous, ma ad oggi nessun frammento ebraico ci è pervenuto. Non c’è dubbio però che soprattutto i Vangeli mostrino strutture linguistiche e una mentalità sostanzialmente semitica, molto distante da quella greca. Ciò ha fatto ipotizzare che alcune loro parti fossero delle vere e proprie traduzioni a calco di testi ebraici o aramaici andati irrimediabilmente perduti. Segni chiari sono la preferenza della paratassi piuttosto che la sofisticata articolazione temporale offerta dalla sintassi del greco, l’uso diretto della traslitterazione di molti termini ebraici, e intere frasi riportate spesso con l’aggiunta di spiegazione: affinché il lettore possa ascoltare, quasi “in diretta”,  la voce stessa di Yeshua: 

“Presa la mano della bambine, dice: «Talità qum», che significa «Fanciulla, alzati!» (Mc 5,41, Ibidem, p. 143)

Il lavoro dei nostri Autori è stato proprio quello di recuperare il substrato ebraico degli scritti neotestamentari, per restituire il più possibile al lettore italiano l’aria culturale semitica che respiravano i lettori contemporanei degli scrittori, posti davanti alla freschezza di un annuncio sorprendente, trasmesso in una lingua nota ma in una forma letteraria inedita, quella di un εὐαγγελίου, Euangelion, una besorah tovah.

Un tentativo coraggioso e arduo, perseguito attraverso alcuni interessanti espedienti. Innanzitutto recuperando i nomi originali ebraici delle persone citate. Oltre al protagonista, Yeshua, troviamo l’evangelista Mattityahu, Matteo, che racconta dell’incontro del maestro con Shimòn, chiamato Kefà, con i due fratelli Yaaqov e Yoḥanan, figli di Zavdì e degli altri…

Ma anche retro-traducendo dal greco all’ebraico decine di espressioni alla ricerca di come potevano effettivamente risuonare alle orecchie dei primi destinatari dell’annuncio. E ecco che il Regno di Dio o dei Cieli annunciato dal Mashiaḥ è la Malkhut ha-Shamayim, la conversione richiesta è la teshuvah, e il “maschile” Spirito Santo, ritorna al più doce femminile della Rùaḥ ha-Qòdesh. Per orientarsi in questa ricca e suggestiva terminologia, il lettore è invitato a consultando un essenziale glossario posto dagli autori alla fine di ogni volume.

Ogni libro biblico è inoltre introdotto da un’ampia presentazione del contesto storico in cui è stato redatto, dalla esplicitazione delle scelte ermeneutiche adottate, e corredato da ampie note di commento a tutte le pericopi.

Scopo ultimo di tale lavoro: offrire uno strumento pratico per favorire il superamento delle due grandi tentazioni che da sempre minacciano l’esegesi cristiana: il grave errore della teologia della sostituzione (l’idea che la Chiesa ha sostituito Israele) e l’insegnamento del disprezzo degli ebrei (colpevoli di deicidio) che ha portato l’antigiudaismo antico a degenerare nell’antisemitismo modermo. Intenti non da poco, e nobili più che mai!

Ma questo questo lavoro riteniamo che risponda anche ad un'altra crescente esigenza: il crescente bisogno che in questi anni è stato manifestato da molti semplici lettori appassionati della Scritture ma non specialistici, quella di riappropriarsi della lingua sacra, la lingua “parlata da Dio”, per scavare più in profondità il senso del testo biblico e rompere la corteccia del tito senso comune, prevalentemente didascalico-catechistico e moralistico.

Non sappiamo se questa traduzione sarà sufficiente a sostenere anche questa implicita missione. La scelta di usare esclusivamente la traslitterazione delle parole ebraiche e in forma anche molto discutibile (ad esempio Elohim per Dio, al posto del più corretto Elohim, solo per citare un esempio), certo non aiuta a cogliere tutta la ricchezza semantica di questa meravigliosa lingua, le cui lettere non sono solo suoni, ma anche numeri e immagini. 

Ma resta tuttavia, a nostro parere, se non altro almeno uno strumento utile per invogliare il lettore a studiare la lingua ebraica, cominciando ad “orecchiarla” sotto le parole del Vangelo

È nota la convinzione di Lutero, secondo cui senza la lingua ebraica «è assolutamente impossibile comprendere rettamente la Scrittura». E poi continuava,  nel suo solito stile ruvido ed esagerato: 

«Perciò è stato detto con ragione che gli ebrei bevono dalla sorgente originaria, mentre i greci bevono dai rigagnoli che dalla sorgente si dipartono; i latini, infine, bevono dalle pozzanghere» (Discorsi a tavola). 

In questa prospettiva, la presente “Lettura ebraica del Nuovo Testamento” può essere salutata come un primo interessante tentativo per disellenizzare e riebraizzare non tanto il testo quando l'anima del testo” (Henri Meschonnic) delle scritture cristiane.

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