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Con la parashà di questa settimana, Esodo 30,11-34,35, finisce la lunga sezione dell’Alleanza del Sinai con tutte le Leggi e le prescrizioni sul Santuario e sul culto perenne che vi si dovrà svolgere. Alla fine, dopo aver elencato tanti precetti si sottolinea solo uno, l’osservanza del Sabato, “segno fondamentale dell’Alleanza”, da tramandare di generazione in generazione (31,12-18). A seguire, nei capitolo cap. 32-34, si racconta: l’infedeltà d’Israele che, nell’impazienza dell’attesa di Mosè, ricade nell’idolatria; la preghiera di intercessione di Mosè; e le seconde tavole della Legge.

“Quando farai”, Ki tissa’ בִּי תִשָּׂא. Così inizia la nostra sezione. Quando farai il Censimento. Una disposizione abbastanza strana per noi, che impone il pagamento di una tassa per ogni adulto (dai vent’anni in su) maschio di Israele. Ci soffermeremo un po’ su questo tema più avanti. 

Tra tanti temi presenti in questa sezione,  il nostro Daniele Salamone, punta la sua attenzione sul rapporto tra ebrei e cristiani rispetto alle Mitzvot, alle prescrizioni della Torah. Sono tutte e 613 valide anche per i cristiani? Certamente no, lo sappiamo da molti passi del Nuovo Testamento. Ma i cristiani per questo devono stare attenti a non considerarsi il “nuovo popolo di Dio” che sostituisce quello dell’antica alleanza. L’apostolo Paolo ci ricorda che siamo stati eletti per grazia e non per le opere della Legge, per essere innestati nella medesima e unica radice di Israele, non per sostituirla: «Non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te» (Rm 11, 18).

 

Circa i Censimenti, sarà il libro dei Numeri a parlarne diffusamente. Il Censimento è una “cosa sacra”, talmente sacra che la sua trasgressione costerà molto cara al re più amato di Israele, Davide.  Una tentazione così forte che la Bibbia l’attribuisce addirittura all’azione diretta di Satana: «Satana insorse contro Israele. Egli spinse Davide a censire gli Israeliti» (1Cr 21,1).

La Torah ci dice che il censimento si poteva fare. Ma evidentemente Davide lo piega ad un fine personale: non considera più il popolo come proprietà di Dio, ma una forza a disposizione delle sue ambizioni regali, col censimento immagina di poter  “misurare” la sua forza militare da utilizzare per le offensive future e allargare la sua egemonia sulla terra (cfr. 2Sam 24, 2).

Nonostante i consigli del povero Joab, Davide cede alla diabolica tentazione, e ne patisce le conseguenze. Dio gli concede di scegliere tra tre castighi: tre anni di carestia, tre mesi di fuga davanti a nemici che lo inseguono, o tre giorni di peste. E Davide sceglie la via più breve, ma la più terribile per il popolo: la peste. Periranno 70.000 israeliti.

***

Ci sono molte cose da approfondire in questi capitoli, come per ogni parashà. Il consiglio è di non leggerla sono durante il Sabato, tutta d'un fiato, ma di ritornarci ogni giorno della settimana con la lettura più ridotta per piccoli pezzi, studiando e meditando il singolo episodio, un solo versetto o addirittura una sola parola particolarmente significativa. 

Per esercitarci sulla lingua, in questa settimana allarghiamo un po’ la lettura, almeno ai primi tre versetti della parashà, 30,11-13, e prendiamo confidenza con il verbo, provando ad individuare tutti i verbi che vi compaiono, e approfondendo soprattutto quello che dà il nome alla parashà stessa, “tissa’ תִשָּׂא”.

Per i verbi forti, non dovrebbe essere difficile individuare la radice di ognuno. A tale scopo ci possiamo far aiutare dall’ottimo strumento online, BibleHub. Anche se è in inglese, vi troviamo, in forma interlineare, non solo la traduzione parola per parala, ma anche la segnalazione, per ogni termine, nel suo valore grammaticale. Ci sono in totale 7 verbi, di cui uno ripetuto quattro volte e un’altro due volte. Allego l’immagine del testo sinottico di “Torah.it” nel quale li ho evidenziati con un cerchio rosso nella testo ebraico e con una sottolineatura nella traduzione in italiano.

Analizziamo ognuno brevemente.

Il versetto 11 contiene due verbi molto comuni, parlare Dabar דָבַר e “dire‘Amar אָמַר. Il primo è un verbo forte, la cui radice è facilmente riconoscibile; il secondo, debole, per la presenza della lettera Aleph, come abbiamo spiegato nella lezione scorsa.

Nel versetto 12, troviamo il nostro verbo principale Tissà’  תִשָּׂא, imperfetto della radice Nasha נָשָׂא  che propriamente significa innalzare, sollevare, reggere, e che ha come complemento oggetto ‘Et Roshs אֶת־רֹאשׁ sostantivo che letteralmente significa capo. Si intende qui una sorta di chiamata, come in un appello, per cui ognuno si alza, solleva il capo, appena il suo nome viene annunciato: presente! Segue il verbo Feqar פְקַד enumerare, che viene ripetuto altre tre volte qui e una volta ancora nel versetto successivo. Il verbo essere in forma negativa הָיַה.Ed infine il verbo dare, restituire וְנָתְנוּ dalla radice נָתַן, che ritroviamo anche nel versetto successivo 

Il versetto 13, ha tre verbi tutti ad inizio periodo seguiti da una serie di sostantivi. Il primo è il già citato dare נָתַן, seguito da “annoverare tra tutti” עָבַר, e dal più volte ripetuto פְקַר. 

BibleHub ci permette anche la consultazione di un dizionario per approfondire il significato del singolo termine e di una concordanza per recuperare le altre ricorrenza in tutta la Tanak, la Bibbia ebraica. Sull’uso di questi strumenti, torneremo nelle prossime lezioni.

E per concludere non dimentichiamo l'esercizio della lettura. Possiamo verificare la nostra pronuncia confrontandola con quella sefardita che ho estrapolato dal'audio completo di Esodo 30, disponibile sul sito Mechon Mamre:

שבת שלום!

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