L’Appeso: la maledizione che ci redime - Parashà 49
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Con la parashà Ki Tetze, כִּי-תֵצֵא  Quando sarai uscito Dt 21,10-25,1, si riprendono e si concludono le norme relative alla guerra iniziate in Dt 20,1, introducendole con la stessa formula “quando… (o “se”, secondo la traduzione Cei). Quello della “guerra santa” è certamente un capitolo molto difficile e per certi versi scandaloso per la nostra sensibilità moderna e per la morale evangelica. Ma in questa ultima disposizione (Dt 21,10-14) relativa ai prigionieri, la Torah, sebbene annoveri le donne dei nemici tra il “bottino di guerra”, mostra una particolare attenzione ai suoi diritti in caso di ripudio dopo averla presa per moglie. Dio ordina all'israelita: “non potrai venderla come schiava”! 

Seguono varie prescrizioni di legge, ma Daniele Salamone, questa settimana, si sofferma su Dt 21,22 in cui si prescrive la condanna a morte del reo: sarà “appeso ad un albero”. E il versetto successivo (23) stabilisce: “Il suo cadavere non dovrà rimanere tutta la notte sull’albero, ma lo seppellirai lo stesso giorno, perché l’appeso è una maledizione di Dio e tu non contaminerà il paese che il Signore, tuo Dio, ti dà in eredità”.

Si tratta di un versetto che i cristiani hanno messo in relazione al tragico epilogo della vita del Messia Gesù, come espliciterà Paolo in Gal 3,13-14: “Cristo ci ha riscattato dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi”.