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Una doppia parashà (32-33) conclude la lettura del Levitico:  BeHar בְּהַר “Sul monte” (Lv 25,1-26,2) e BeChuqqotay בְּחֻקֹּתַי “Nei miei decrete” (Lv 26,3-27,34). I due titoli ci riportano lì dove la Torah è stata donata, il Sinai, e ci esortano ancora a seguire tutte le sue prescrizioni. Tra tutte emerge quella dello Shabbat, il riposo sacro assoluto del settimo giorno che si estende al settimo anno e al solenne anno giubilare, quello che fa seguito alle “sette settimane di anni” (Lv 25,8).

La legge del sabato coinvolge tutti: gli ebrei e ogni straniero presso di loro, schiavi e animali; e tutto compresa la terra stessa, dono e proprietà esclusiva di Dio. Anch’essa ha diritto al riposo ogni sette anni: non si dovrà coltivarla né sfruttarla per un anno intero, per consentire la sua rigenerazione. Inoltre ogni anno giubilare, in cinquantesimo, ogni terra tornerà alla famiglia originaria a cui fu affidata da Dio. Ogni debito sarà condonato e ogni schiavo sarà messo in libertà. 

Un legge perenne che non potrà mai essere messa in discussione, pena la perdita di tutte le benedizioni di Dio. Se non si cessa lo sfruttamento indiscriminato della terra, sarà la terra stessa a prendersi di forza il suo diritto:  “Manderò su di voi la spada… la peste… vi toglierò il sostegno del pane (carestia) … ridurrò le vostre città a deserti” (cfr. Lv 26,25-31). Persino “il fruscio di una foglia agitata dal vento li metterà in fuga” (Lv 26,36). Parole terribili, attualissime in questi giorni di pandemia in cui un microscopico virus (un fruscio di foglia) ha fermato il mondo intero imponendo, nolente o volente, uno shabbat globale, mostrandoci desolanti visioni di città deserte e odore di morte dappertutto.

Senza indulgere in visioni apocalittiche improprie (ma apocalisse non vuol dire distruzione ma rivelazione), dobbiamo ammettere la serietà del comando dello shabbat e del suo valore ecologico: imporre un limite allo sfruttamento indiscriminato delle risorse della terra, di fatto salvaguardiamo la terra e la vita stesse dell’uomo.

Proprio per custodire e mettere in pratica questo comandamento fondamentale gli ebrei nei secoli hanno sviluppato una precisa e articolata casistica per stabilire cosa è lecito e cosa non è lecito fare nelle shabbat, giorno di riposo assoluto. Sono state così individuate 39 attività proibite, le melakhòt, che la Mishnà (Shabbat 7:2) ricava dalle disposizioni date da Mosè durante la prima interruzione sabbatica dei lavori per la costruzione del Tabernacolo: “Trasportare, Arare, Intrecciare, Bruciare, Piantare, Ordire, Spegnere, Mietere, Tessere, Completare, Fare covoni, Sfilare, Scrivere, Trebbiare, Costruire, Cancellare, Spulare, Demolire, Tendere trappole, Selezionare, Cuocere, Lavare, Setacciare, Tosare, Cucire, Macinare, Macellare, Strappare, Impastare, Scuoiare, Annodare, Pettinare, Conciare, Disfare un nodo, Filare, Levigare, Tracciare segni, Tingere, Modellare” (Es 35,1ss). 

Divieti difficili da mettere in pratica alla lettera. Per esempio quello di “scrivere”, che   io sto trasgredendo nello stesso momento in cui lo ricordo. Ma scrivere cosa e come? E qui la casistica si complica. Secondo alcune interpretazioni sarebbe vietato scrivere su supporti permanenti, ma non ad esempio sulla sabbia (cosa che una volta fece Gesù, l’unica volta in cui si dice che scrisse qualcosa, cfr. Gv 8,6.8). E scrivere in modo digitale su un file? La “lettera”, come ricorda San Paolo (cfr. 2Cor 3,6), se non uccide, può indurre alla paranoia.

E infatti proprio sull’osservanza del Sabato Gesù incontrerà la più dura contestazione dei Farisei. In Matteo 12,1-8 gli contestano le spighe strappate dai suoi discepoli nel giorno di riposo. Ma Gesù non scende sul piano della casistica, spiegando ad esempio che strappare spighe non equivale a “mietere”, ma va al cuore del problema, allo spirito delle legge. E cita il comportamento di Davide (riferimento messianico?) nel libro di Samuele (1Sam 21,2-7), libro dei Profeti anteriori, i primi e insuperabili interpreti della Torah! E facendolo Gesù svergogna l’ipocrisia dei Farisei che avrebbero dovuto dare loro da mangiare ai poveri e affamati discepoli per impedire che trasgredissero la legge, come la legge stessa invita a fare in una delle 613 mitzvot, piuttosto che trovare un pretesto di accusa. 

Sono ipocriti: preferiscono salvare una pecora piuttosto che un uomo di sabato (cfr. Mt 12, 11-12) e costruiscono monumentali sepolcri ai profeti dopo averli uccisi (cfr. Mt 23,27). L’anima della legge del sabato, ricorderà Gesù, è quella annunciata da Osea: “misericordia (Chesed) voglio e non sacrifici” (Os 6,6). “Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!” (Mc 2,27).

Il nostro Daniele Salamone questa settimana, commentando la prescrizione sabbatica, si sofferma sul mistero del male: come mai la disgrazia, la peste e la carestia colpisco anche il giusto, l’osservante scrupoloso delle leggi di Dio? La risposta, mai completamente esaustiva per la nostra mente, è nascosta nel libro di Giobbe e nelle parole di Gesù: “perché in lui siano manifeste le opere di Dio” (Gv 9,3).

 

Per lo studio, in rispetto al riposo sabbatico, facciamo una pausa nel lavoro sulla grammatica. Continuiamo solo nella lettura, ad esempio di Genesi 3,10-24 (Tutte le altre letture ebraiche di Daniele Salamone sul gruppo Facebook “Traduzione del Pentateuco a cura di Daniele Salamone | Torah Project/).

O al massimo, ripassiamo la lezione scorsa sull’imperativo http://www.schirone.it/schirone/index.php/77-cristo-sommo-sacerdote-e-vittima-perfetta-compie-la-purezza-levitica-parasha-31, rivedendo il già citato video di Giuseppe De Carlo, partendo dal 14,45:

 

שבת שלום

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