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Molto ricca di contenuti questa parashà 31, Emor אֱמֹר Di’ - Lv 21,1-24,23. Vi troviamo tutte le regole di purezza per i sacerdoti (capp. 21-22), l’elenco delle sette festività ebraiche, i moadim (cap. 23), le istruzioni sulle luci e sul pane del santuario (4,1-9), e la tragica storia del bestemmiatore e della sua punizione (24,10-23).

Ai sacerdoti, i Kohanim, Mosè consegna una rigida regola di purezza. Essi sono chiamati a offrire i sacrifici e il “pane”, immagine dell’eucaristia (cfr. Lv 21,6). È Cristo infatti l’unico eterno Sommo Sacerdote, in grado di offrire un sacrificio puro (cfr. Lv 21), quello di se stesso, vittima senza macchia e imperfezione (cfr. Lv 22).

Daniele Salamone, nella sua lezione, associa la purezza dei sacerdoti leviti a quella richiesta oggi ai ministri della Parola leviti, come insegna la Lettera di Giacomo: “Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri, sapendo che riceveremo un giudizio più severo” (Gc 3,1). I maestri devono vivere una vita esemplare e coerente con quello che insegnano.

 

Le feste ebraiche sono “ombra”, come insegna San Paolo di cose che riguardano il Cristo: “Nessuno dunque vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda, o riguardo a feste, a noviluni e a sabati: tutte cose queste che sono ombra delle future; ma la realtà invece è Cristo!” (Col 2,16-17). Alcune di queste feste si sono compiute con la Resurrezione del Messia, Gesù, altre si compiranno nella sua seconda venuta, come ricordano le feste autunnali di Yom Teruah (Lv 23,26-32), festa delle trombe o Capodanno, e Sukkot (Lv 23,33-44), festa dei tabernacoli, che si adempiranno quando lo shofar suonerà e il Messia ritornerà per stabilire il suo regno sulla terra, come dice San Paolo:  "In un attimo, in un batter d'occhio, all'ultima tromba [shofar]; poiché la tromba suonerà, e i morti risorgeranno imperituri, e saremo cambiati."  (1Cor 15,52).

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Per lo studio, prima di passare alla seconda forma del verbo ebraico, l’imperfetto, impariamo la forma imperativa, sempre della coniugazione semplice Qal, che è affine all'imperfetto senza i suffissi . Un esempio è proprio nel titolo di questa parashà: Di’, imperativo del verbo “dire”. In ebraico emor אֱמֹר, verbo che abbiamo incontrato decine di volte, in questo primo versetto compare già due volte אָמַר: “E disse il Signore a Mosè, di’...”.

L’imperativo ebraico, come in italiano, indica un ordine, che ovviamente non può essere dato a se stessi o a terzi, quindi viene coniugato solo alla seconda persona singolare e plurale, con l’unica differenza, tipica dell’ebraico, tra maschile e femminile.

Si ottiene dall’infinito costrutto:

Ecco il paradigma da imparare a memoria:

Inutile dire che per memorizzare questa forma, conviene esercitarsi applicandola a tutti i verbi (forti) incontrati fino ad oggi

Buono studio

שָׁלוֹם

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