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La parashà prende avvio dalla morte di Saràh e si conclude con la morte di Abramo (Gen 23,1-25,18). Curioso è il conteggio degli anni di Saràh. Gen 1,1 scandisce i suoi 127 anni in tre periodi: “100 anni, 20 anni, 7 anni”. Il primo lungo periodo abbraccia la scoperta della sterilità a 65 anni, la nascita di Isacco a 91 e il suo svezzamento, nove anni dopo. Cioè il ciclo compimento della sua missione di “Matriarca di Israele”. Il secondo, molto più breve solo 10 anni, termina con la raggiunta maturità del figlio promesso a 27 anni. Mentre gli ultimi sette anni culminano nel drammatico giorno della grande prova del sacrificio del figlio: fu questo grande dolore a causarle la morte, secondo alcuni autorevoli interpreti.

Al centro di questa parashà c’è il tema dell’invecchiamento, della morte e dell’eredità. Abramo muore al culmine della benedizione di Dio, sazio di giorni, di figli con un erede legittimo. Al contrario del primo re d'Israele, Davide che vide la sua successione travagliata, contesa tra i figli e risolse drammaticamente a favore di Salomone, dalla cui discendenza giungerà a noi il Meshiach, il Messia. 

Da questa considerazione parte il commento cristologico di Daniele Salomone che definisce Saràh, la “Patriarca del Meshiach”. Al minuto 14 Daniele ci offre un ricca meditazione sulla vita di questa straordinaria donna:

Ma come promesso, assieme alla lettura della pericope biblica affianchiamo qualche piccolo sussidio per lo studio della lingua che ci introduca pian piano alla lettura del testo in lingua originale.

Abbiamo già studiato e imparato a scrivere le 22 lettere ebraiche, ma non ancora a pronunciarle, perché essendo la scrittura ebraica composta di sole consonanti non conosciamo i suoni vocalici da abbinare alle sillabe per la corretta lettura delle singole parole. In genere per gli antichi la lettura era un’arte tramandata oralmente, e in effetti anche gli ebrei imparavano le parole ascoltandole, prima che leggendole. Col tempo e le varie vicissitudini del popolo eletto, la corretta pronuncia è andata perduta, fino a quando nel medioevo il masoreti, dotti scribi ebrei custodi della tradizione, decisero di applicare dei segni (puntini e linee) sotto o sopra le le lettere per segnalare un preciso suono vocalico con i diversi valori di durata.

Questo è un capitolo molto complesso della fonologia ebraica, e rimandiamo alle specifiche grammatiche e al corso di Simone Venturini per l’approfondimento. Di seguito inserisco solo uno schema riassuntivo ma completo che ci spiega come pronunciare le cinque nostra vocali prescindendo dalla durata.

Non preoccupiamoci oltre per ora della corretta pronuncia, perché ancora oggi esistono varie pronunce: yemenita, aschenazita … e sefardita, dalla quale deriverebbe quella tutta tipica degli ebrei italiani. La pronuncia usata a casa nostra è inoltra influenzata dell’ Ivrit, l’ebraico moderno, e alquanto semplificata in molti suoni consonantici e vocali. Torneremo sulla lettura nelle prossime parashot.

Circa gli strumenti di studio gratuiti presenti in Rete, rimando ad una raccolta ragionata che per alcuni anni ho condotto sul forum “Cristianesimo primitivo”. Dalle diverse discussioni ho ricavato un elenco di fonti che ho ordinato in varie sezioni nel primo post. Ho aggiornato l’elenco fino allo scorso 23 dicembre 2018, quando le discussioni sono terminate. Spero di poterlo riprendere e aggiornare in questa sede, nei prossi nostri appuntamenti.

Buona lettura, Shabbat shalom

שַׁבָּת שָׁלוֹם

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